casesfuggite
Case abbandonate, dimenticate, diroccate: ideali luoghi per far correre la fantasia...
Copertina per il racconto The shunned house
mercoledì 7 maggio 2014
Villa Cerri e " gli amanti maledetti" di Lomello
Lungo la provinciale che unisce Lomello a Sannazaro, sorge nel prato adiacente la strada questa bella villa edificata nei prima anni del Novecento, caratterizzata dalla piacevole torretta. E' conosciuta con il nome di Villa degli amanti maledetti.
In abbandono, ma non del tutto fatiscente, ha alle spalle i ruderi di un grosso impianto industriale, con tanto di ciminiera in mattoni prossima al crollo.
La villa è famosa nella zona, e non solo, soprattutto tra gli amanti dei misteri e del paranormale, in quanto sarebbe tuttora infestata dai fantasmi o da presenza maligne, dopo un non chiaro fatto di sangue che l'avrebbe vista protagonista.
Così quello che era un omicidio-suicidio nato dalla gelosia di un marito tradito, è diventata la leggenda che ha fatto poi parlare di suicidi e impazzimenti misteriosi, tanto da dire che la villa è maledetta.
Tuttavia, stando con i piedi per terra, pare che la famiglia Cerri, proprietaria per moltissimi anni del palazzetto, non sia mai stata protagonista di fatti di sangue e tradimenti coniugali.
La villa passò poi nelle mani di un grosso industriale del riso, che è attualmente proprietario anche dei terreni attorno, sui quali insiste il complesso industriale abbandonato.
Oggi, misterioso, spettrale, tetro, a seconda delle stagioni e delle ore della giornata, il complesso si presta a qualsiasi congettura.
Pubblicato da
mauro colombo
venerdì 18 aprile 2014
Filatures de Schappe, Rozzano
Nel comune di Rozzano, la terza conca del naviglio pavese e il suo salto d'acqua (in grado di produrre energia elettrica), permisero nel 1898 alla Société Anonyme de Filatures de Schappe di Lione di erigere lo stabilimento per le fasi di pettinatura e cardatura delle fibre. Il semilavorato ottenuto veniva poi inviato ad altre filiali del gruppo per completare il ciclo produttivo.
Fino allo scoppio della seconda guerra mondiale, le Filature di Rozzano furono una delle realtà industriali più importanti di tutta l’area sud di Milano.
Il conflitto purtroppo interruppe bruscamente le attività: essendo di proprietà francese, lo stabilmento venne infatti requisito dal governo italiano, e l'attività di fatto si interruppe per mancanza di materie prime. Successivamente, fu requisito dai tedeschi, e solo dopo la Liberazione tornò in mani francesi.
Ma a causa dei danni subiti, e soprattutto per la nuova concorrenza del nylon, nel 1953 la fabbrica chiuse definitivamente. Seguirà anche una causa per il risarcimento dei danni subiti avanzata dai francesi contro l'Italia, senza che ciò potesse comunque portare alla riapertura dell'impianto, che da allora cadde nel più totale abbandono.
Oggi, la parte più suggestiva e interessante è il complesso di chiuse realizzate sul naviglio, quelle che permettevano di sfruttare la caduta d'acqua per ottenere energia dalle turbine.
La zona dei comandi è riparato da una tettoia, dove trovano alloggiamento le saracinesche delle varie bocche di presa.
Qui vediamo la stessa inquadratura, a distanza di un secolo. A sinistra, la famiglia proprietaria posa accanto al salto d'acqua.
Pubblicato da
mauro colombo
giovedì 17 aprile 2014
Cascina e villa Salterio, Moirago
Lungo il naviglio pavese, all'altezza della quarta conca, nel comune di Moirago, si incontra questo vasto complesso rurale, che pur trovando origine in un edificio monastico del 1300, ha raggiunto l'assetto attuale nel corso del 1700, per poi essere completato e ingrandito nel primo quarto dell'Ottocento, in concomitanza con l'apertura del naviglio.
Nel Novecento il complesso si è poi arricchito di ulteriori costruzioni.
L'impianto è caratterizzato da una bella villa padronale, porticata, arretrata rispetto al Naviglio, circondata da edifici per l'attività agricola: la casa del fattore, le abitazioni dei salariati, la grande stalla. Non manca la torre colombaia, che risponde alla doppia esigenza di luogo per l'allevamernto dei colombi, e di torretta per il controllo dei campi circostanti, nonchè dei natanti in movimento sul naviglio.
La villa invece si è salvata dall'incuria, e attualmente è in vendita.
Del complesso invece è appena iniziato un imponente progetto di recupero e salvaguardia, che dovrebbe portare alla realizzazione di almeno due distinti lotti abitativi. Inoltre, una parte sarà destinata ad uso pubblico.
Il cantiere peraltro sta subendo numerosi intoppi, dovuti anche a incendi dolosi.
Nel Novecento il complesso si è poi arricchito di ulteriori costruzioni.
L'impianto è caratterizzato da una bella villa padronale, porticata, arretrata rispetto al Naviglio, circondata da edifici per l'attività agricola: la casa del fattore, le abitazioni dei salariati, la grande stalla. Non manca la torre colombaia, che risponde alla doppia esigenza di luogo per l'allevamernto dei colombi, e di torretta per il controllo dei campi circostanti, nonchè dei natanti in movimento sul naviglio.
L'intero borgo è cinto per due lati da un muro in mattonato, accanto al quale scorre una roggia.
Il lato che si affaccia sulla strada alzaia è invece protetto da una lunga, monumentale, cancellata.
L'impatto visivo è molto scenografico, anche se l'abbandono in cui versa la parte prettamente agricola è totale.
La villa invece si è salvata dall'incuria, e attualmente è in vendita.
Del complesso invece è appena iniziato un imponente progetto di recupero e salvaguardia, che dovrebbe portare alla realizzazione di almeno due distinti lotti abitativi. Inoltre, una parte sarà destinata ad uso pubblico.
Il cantiere peraltro sta subendo numerosi intoppi, dovuti anche a incendi dolosi.
Antica pietra miliare: Cascina santa Marta, Trezzano e Zibido. |
Pubblicato da
mauro colombo
venerdì 28 marzo 2014
Bignugno (VB)
Percorrendo la strada carrozzabile che dal lago Maggiore sale in Valgrande, diretta alla frazione di Cicogna, si incontra, dopo una curva a U, la scalinata pedonale che conduce al maggengale di Bignugno (550 mslm).
Camminando per un centinaio di metri, si entra nel primo nucleo di baite, un tempo villaggio estivo abitato dai pastori e dalle loro capre.
Le piccole case in pietra sono oggi quasi tutte abbandonate e parzialmente diroccate, solo alcune risultano recuperate per brevi soggiorni.
La tipologia di questi primitivi alloggi è semplice e ripetitiva: una zona per il ricovero delle bestie e del foraggio, un'altra per la vita del pastore (un locale con al centro la pietra dove accendere il fuoco per fare il formaggio, e una zona, posta al piano superiore, dove passare la notte). Le costruzioni sono piccole e con una o al massimo due finestrelle.
Oltre alle baite, si notano alcuni manufatti dedicati ad usi diversi, quali ricoveri per galline, maiali, o zone dedicate alla lavorazione dell'uva (questo versante della montagna era sfruttato per la coltivazione della vite, e lo dimostrano i vecchi tralci e i rottami di botti e tini, sparsi un po' dappertutto).
Altri maggengali (come Miunchio, dall'altro lato del rio san Bernardino, visibile guardando verso la valle) erano invece dediti, oltrechè alla pastorizia, all'apicoltura.
Lasciato il primo nucleo di baite, salendo si incontrano altri due gruppi di case: il primo poco sopra, con sei o sette baite, il secondo più in quota, dove gli edifici sono numerosi ed anche più complessi, molti arricchita da balconata.
Il nucelo più alto (detto Bignugno superiore) è in totale abbandono e si sviluppa attorno ad un sentiero protetto da muriccioli a secco, secondo un modello classico in questi nuclei agricoli.
Il fascino dell'antico e del fantastico regnano sovrani.
Camminando tra i ruderi sembra di essere i primi esseri viventi che rimettono piede in un luogo misteriosamente abbandonato all'improviso, come se fosse sopraggiunta una catastrofe o una epidemia.
In realtà, nel giro di pochi anni, tutte queste corti caddero in disuso, quando con gli anni Sessanta del novecento a valle iniziarono ad assumere manovalanza nelle nuove industrie, cosicchè l'attività agricola e pastorale andarono a morire nel giro di un decennio, dopo che per secoli erano state le uniche foti di sostentamento, a prezzo di grandi sacrifici e privazioni, di intere popolazioni che abitavano la valle.
Sbirciando all'interno delle baite, o entrandovi quando la porta è divelta o solo accostata, si scorgono ancora gli utensili dimenticati dagli ultimi pastori.
Numerosi gli stumenti agricoli quali falci, zappe, badili, picconi, tini e gerle. Ma anche bottiglie, piatti, qualche posata in alluminio. In una, anche se caduto a terra, un quadretto con due foto di defunti, passati a miglior vita alla fine del 1950.
La vita qui sembra non solo ferma da decenni, ma anche bruscamente interrotta: un calendario appeso al muro, segna il mese di settembre del 1966.
Su una porta, invece, scritta con vernice rossa ormai sbiadita, si legge "W la brigata garibaldi". Non dimentichiamoci che questa zona fu teatro di dure battaglie partigiane soprattutto nell'inverno del 1944.
Camminando per un centinaio di metri, si entra nel primo nucleo di baite, un tempo villaggio estivo abitato dai pastori e dalle loro capre.
Le piccole case in pietra sono oggi quasi tutte abbandonate e parzialmente diroccate, solo alcune risultano recuperate per brevi soggiorni.
La tipologia di questi primitivi alloggi è semplice e ripetitiva: una zona per il ricovero delle bestie e del foraggio, un'altra per la vita del pastore (un locale con al centro la pietra dove accendere il fuoco per fare il formaggio, e una zona, posta al piano superiore, dove passare la notte). Le costruzioni sono piccole e con una o al massimo due finestrelle.
Oltre alle baite, si notano alcuni manufatti dedicati ad usi diversi, quali ricoveri per galline, maiali, o zone dedicate alla lavorazione dell'uva (questo versante della montagna era sfruttato per la coltivazione della vite, e lo dimostrano i vecchi tralci e i rottami di botti e tini, sparsi un po' dappertutto).
Altri maggengali (come Miunchio, dall'altro lato del rio san Bernardino, visibile guardando verso la valle) erano invece dediti, oltrechè alla pastorizia, all'apicoltura.
Lasciato il primo nucleo di baite, salendo si incontrano altri due gruppi di case: il primo poco sopra, con sei o sette baite, il secondo più in quota, dove gli edifici sono numerosi ed anche più complessi, molti arricchita da balconata.
Il nucelo più alto (detto Bignugno superiore) è in totale abbandono e si sviluppa attorno ad un sentiero protetto da muriccioli a secco, secondo un modello classico in questi nuclei agricoli.
Il fascino dell'antico e del fantastico regnano sovrani.
Camminando tra i ruderi sembra di essere i primi esseri viventi che rimettono piede in un luogo misteriosamente abbandonato all'improviso, come se fosse sopraggiunta una catastrofe o una epidemia.
In realtà, nel giro di pochi anni, tutte queste corti caddero in disuso, quando con gli anni Sessanta del novecento a valle iniziarono ad assumere manovalanza nelle nuove industrie, cosicchè l'attività agricola e pastorale andarono a morire nel giro di un decennio, dopo che per secoli erano state le uniche foti di sostentamento, a prezzo di grandi sacrifici e privazioni, di intere popolazioni che abitavano la valle.
Sbirciando all'interno delle baite, o entrandovi quando la porta è divelta o solo accostata, si scorgono ancora gli utensili dimenticati dagli ultimi pastori.
Numerosi gli stumenti agricoli quali falci, zappe, badili, picconi, tini e gerle. Ma anche bottiglie, piatti, qualche posata in alluminio. In una, anche se caduto a terra, un quadretto con due foto di defunti, passati a miglior vita alla fine del 1950.
La vita qui sembra non solo ferma da decenni, ma anche bruscamente interrotta: un calendario appeso al muro, segna il mese di settembre del 1966.
Su una porta, invece, scritta con vernice rossa ormai sbiadita, si legge "W la brigata garibaldi". Non dimentichiamoci che questa zona fu teatro di dure battaglie partigiane soprattutto nell'inverno del 1944.
Pubblicato da
mauro colombo
cascina Terradeo (Buccinasco)
Lasciandosi alle spalle la frazione di Buccinasco Castello, percorrendo per un paio di chilometri un tratturo campestre, si incontra la sagoma della cascina Terradeo. La prima cosa che si nota è la coppia di silos in cemento, poi avvicinandosi si può apprezzare la vasta estensione del complesso, caratterizzato, oltrechè dai classici edifici per l'attività prettamente agricola, dalla costruzione quadrangolare della residenza padronale.
La cascina risale al XVIII secolo, come testimoniato dal catasto teresiano; alcuni edifici sono tuttavia posteriori, come il corpo a loggiato e l'edificio per i lavoranti.
Oggi è completamente in rovina, anche se parrebbe esistere un progetto comunale di recupero.
Sul tetto della casa del fattore ancora svetta (resistendo tenacemente al crollo imminente dovuto all'abbandono diffuso) la struttura che ospitava la campana che scandiva i momenti del lavoro nei campi.
Molto belle le ancora intatte grate in mattoni per l'areazione dei fienili, e suggestiva risulta essere, all'inizio dell'autunno, la vite canadese che si è avvinghiata fin sui tetti.
La cascina risale al XVIII secolo, come testimoniato dal catasto teresiano; alcuni edifici sono tuttavia posteriori, come il corpo a loggiato e l'edificio per i lavoranti.
Oggi è completamente in rovina, anche se parrebbe esistere un progetto comunale di recupero.
Sul tetto della casa del fattore ancora svetta (resistendo tenacemente al crollo imminente dovuto all'abbandono diffuso) la struttura che ospitava la campana che scandiva i momenti del lavoro nei campi.
Molto belle le ancora intatte grate in mattoni per l'areazione dei fienili, e suggestiva risulta essere, all'inizio dell'autunno, la vite canadese che si è avvinghiata fin sui tetti.
Pubblicato da
mauro colombo
sabato 22 marzo 2014
casa dei guardiani della diga al lago Campliccioli (Valle Antrona)
Nell'alta valle Antrona (Verbania), poco più in basso rispetto alla diga Enel del lago di Campliccioli (1.350 mslm) si incontra il massiccio edificio della fine degli anni Venti, un tempo adibito ad alloggio dei guardiani impiegati presso i sistemi idraulici dell'invaso (all'epoca di proprietà della Edison).
Per lo sviluppo della Valle Antrona la
costruzione e il successivo esercizio degli impianti idroelettrici ancora oggi in funzione fu di fondamentale importanza.
L'edificio, di tre piani fuori terra, si sviluppa attraverso ampie stanze con caminetto. Non mancano i servizi igienici ed alcuni locali di servizio. Attualmente è in totale abbandono, dopo le automazioni degli impianti e la messa in funzione dei controlli a distanza.
La moderna gestione della diga infatti non necessita più di personale alloggiato a tempo pieno in quota.
Nei locali, parzialmente vandalizzati, si notano ancora alcune tracce degli impianti dell'epoca, come interruttori, lampadari, cavi elettrici e un pannello per il collegamento telefonico.
Il paesaggio circostante è di indubbia bellezza.
Poco distante, leggermente più in quota, sopravvive, benchè in disuso da svariati decenni, il tracciato dell linea ferroviaria a scartamento ridotto, che partendo da questa zona ancora si addentra nella valle, costeggiando il lago. Un tempo sui binari viaggiavano i carrelli (alcuni ancora oggi presenti) che trasportavano a valle il legname, di cui la località era grande fornitrice.
Pubblicato da
mauro colombo
venerdì 21 marzo 2014
castello di Montanaro (san Giorgio Piacentino)
Percorrendo la strada che da san Giorgio piacentino conduce, in mezzo ai campi centuriati, alla frazione di Montanaro, poco prima del cartello indicatore ci appare sulla destra la mole schiacciata di questo castello, edificato a partire dal 1300.
Fu parzialmente ricostruito nel 1692 dai conti Marazzani, e in seguito fu trasformato in villa residenziale, perdendo così la sua funzione difensiva e lasciando spazio a soluzioni architettoniche tipicamente di svago.
Nel 1799, il castello di Montanaro fu utilizzato come base di appoggio dalle truppe austro russe del generale Suvarov, durante la campagna d'Italia contro Napoleone (approfondisci Suvarov). Il generale fissò la propria residenza temporanea nel castello di Lomello, dove un monumento ricorda il fatto.
Durante il fascismo fu sede della Gioventù Italiana del Littorio, mentre nel dopoguerra del brefotrofio provinciale.
La struttura, ora fatiscente, è circondata in parte dall'antico fossato e da basse costruzioni agricole, alcune diroccate, alcune ancora abitate. E' possibile arrivare fin davanti al complesso, e girarci poi attorno.
Il retro si affaccia su un prato che va poi a terminare su una strada secondaria.
Il senso di abbandono e di quiete è totale, ed anche le attività connesse all'agricoltura che vi ruotano attorno non sono invasive, anche se la stagione migliore per un sopralluogo è certamente quello autunnale ed invernale.
Recentmente ha rischiato di essere deturpato da un progetto per la realizzazione di un impianto fotovoltaico nei terreni circostanti; per ora il TAR ha dato ragione al suo proprietario, bloccando il progetto.
Fu parzialmente ricostruito nel 1692 dai conti Marazzani, e in seguito fu trasformato in villa residenziale, perdendo così la sua funzione difensiva e lasciando spazio a soluzioni architettoniche tipicamente di svago.
Nel 1799, il castello di Montanaro fu utilizzato come base di appoggio dalle truppe austro russe del generale Suvarov, durante la campagna d'Italia contro Napoleone (approfondisci Suvarov). Il generale fissò la propria residenza temporanea nel castello di Lomello, dove un monumento ricorda il fatto.
Durante il fascismo fu sede della Gioventù Italiana del Littorio, mentre nel dopoguerra del brefotrofio provinciale.
La struttura, ora fatiscente, è circondata in parte dall'antico fossato e da basse costruzioni agricole, alcune diroccate, alcune ancora abitate. E' possibile arrivare fin davanti al complesso, e girarci poi attorno.
Il retro si affaccia su un prato che va poi a terminare su una strada secondaria.
Il senso di abbandono e di quiete è totale, ed anche le attività connesse all'agricoltura che vi ruotano attorno non sono invasive, anche se la stagione migliore per un sopralluogo è certamente quello autunnale ed invernale.
Recentmente ha rischiato di essere deturpato da un progetto per la realizzazione di un impianto fotovoltaico nei terreni circostanti; per ora il TAR ha dato ragione al suo proprietario, bloccando il progetto.
Pubblicato da
mauro colombo
Iscriviti a:
Post (Atom)