Copertina per il racconto The shunned house

Copertina per il racconto The shunned house
Copertina per il racconto The shunned house, 1924

venerdì 28 marzo 2014

Bignugno (VB)

Percorrendo la strada carrozzabile che dal lago Maggiore sale in Valgrande, diretta alla frazione di Cicogna, si incontra, dopo una curva a U, la scalinata pedonale che conduce al maggengale di Bignugno (550 mslm).
Camminando per un centinaio di metri, si entra nel primo nucleo di baite, un tempo villaggio estivo abitato dai pastori e dalle loro capre.


Le piccole case in pietra sono oggi quasi tutte abbandonate e parzialmente diroccate, solo alcune risultano recuperate  per brevi soggiorni.
La tipologia di questi primitivi alloggi è semplice e ripetitiva: una zona per il ricovero delle bestie e del foraggio, un'altra per la vita del pastore (un locale con al centro la pietra dove accendere il fuoco per fare il formaggio, e una zona, posta al piano superiore, dove passare la notte). Le costruzioni sono piccole e con una o al massimo due finestrelle.



Oltre alle baite, si notano alcuni manufatti dedicati ad usi diversi, quali ricoveri per galline, maiali, o zone dedicate alla lavorazione dell'uva (questo versante della montagna era sfruttato per la coltivazione della vite, e lo dimostrano i vecchi tralci e i rottami di botti e tini, sparsi un po' dappertutto).

Altri maggengali (come Miunchio, dall'altro lato del rio san Bernardino, visibile guardando verso la valle) erano invece dediti, oltrechè alla pastorizia, all'apicoltura.
Lasciato il primo nucleo di baite, salendo si incontrano altri due gruppi di case: il primo poco sopra, con sei o sette baite, il secondo  più in quota, dove gli edifici sono numerosi ed anche più complessi, molti arricchita da balconata.

Il nucelo più alto (detto Bignugno superiore) è in totale abbandono e si sviluppa attorno ad un sentiero protetto da muriccioli a secco, secondo un modello classico in questi nuclei agricoli.
Il fascino dell'antico e del fantastico regnano sovrani.
Camminando tra i ruderi sembra di essere i primi esseri viventi che rimettono piede in un luogo misteriosamente abbandonato all'improviso, come se fosse sopraggiunta una catastrofe o una epidemia.
In realtà, nel giro di pochi anni, tutte queste corti caddero in disuso, quando con gli anni Sessanta del novecento a valle iniziarono ad assumere manovalanza nelle nuove industrie, cosicchè l'attività agricola e pastorale andarono a morire nel giro di un decennio, dopo che per secoli erano state le uniche foti di sostentamento, a prezzo di grandi sacrifici e privazioni, di intere popolazioni che abitavano la valle.



Sbirciando all'interno delle baite, o entrandovi quando la porta è divelta o solo accostata, si scorgono ancora gli utensili dimenticati dagli ultimi pastori.

Numerosi gli stumenti agricoli quali falci, zappe, badili, picconi, tini e gerle. Ma anche bottiglie, piatti, qualche posata in alluminio. In una, anche se caduto a terra, un quadretto con due foto di defunti, passati a miglior vita alla fine del 1950.
La vita qui sembra non solo ferma da decenni, ma anche bruscamente interrotta: un calendario appeso al muro, segna il mese di settembre del 1966.
Su una porta, invece, scritta con vernice rossa ormai sbiadita, si legge "W la brigata garibaldi". Non dimentichiamoci che questa zona fu teatro di dure battaglie partigiane soprattutto nell'inverno del 1944.





cascina Terradeo (Buccinasco)

Lasciandosi alle spalle la frazione di Buccinasco Castello, percorrendo per un paio di chilometri un tratturo campestre, si incontra la sagoma della cascina Terradeo. La prima cosa che si nota è la coppia di silos in cemento, poi avvicinandosi si può apprezzare la vasta estensione del complesso, caratterizzato, oltrechè dai classici edifici per l'attività prettamente agricola, dalla costruzione quadrangolare della residenza padronale.

La cascina risale al XVIII secolo, come testimoniato dal catasto teresiano; alcuni edifici sono tuttavia posteriori, come il corpo a loggiato e l'edificio per i lavoranti.
Oggi è completamente in rovina, anche se parrebbe esistere un progetto comunale di recupero.
Sul tetto della casa del fattore ancora svetta (resistendo tenacemente al crollo imminente dovuto all'abbandono diffuso)  la struttura che ospitava la campana che scandiva i momenti del lavoro nei campi.



Molto belle le ancora intatte grate in mattoni per l'areazione dei fienili, e suggestiva risulta essere, all'inizio dell'autunno, la vite canadese che si è avvinghiata fin sui tetti.






sabato 22 marzo 2014

casa dei guardiani della diga al lago Campliccioli (Valle Antrona)

Nell'alta valle Antrona (Verbania), poco più in basso rispetto alla diga Enel del lago di Campliccioli (1.350 mslm) si incontra il massiccio edificio della fine degli anni Venti, un tempo adibito ad alloggio dei guardiani  impiegati presso i sistemi idraulici dell'invaso (all'epoca di proprietà della Edison).
Per lo sviluppo della Valle Antrona la costruzione e il successivo esercizio degli impianti idroelettrici ancora oggi in funzione fu di fondamentale importanza.




L'edificio, di tre piani fuori terra, si sviluppa attraverso ampie stanze con caminetto. Non mancano i servizi igienici ed alcuni locali di servizio. Attualmente è in totale abbandono,  dopo le automazioni degli impianti e la messa in funzione dei controlli a distanza. 
La moderna gestione della diga infatti non necessita più di personale alloggiato a tempo pieno in quota.
Nei locali, parzialmente vandalizzati, si notano ancora alcune tracce degli impianti dell'epoca, come interruttori, lampadari, cavi elettrici e un pannello per il collegamento telefonico.
Il paesaggio circostante è di indubbia bellezza.


Poco distante, leggermente più in quota, sopravvive, benchè in disuso da svariati decenni, il tracciato dell linea ferroviaria a scartamento ridotto, che partendo da questa zona ancora si addentra nella valle, costeggiando il lago. Un tempo sui binari viaggiavano i carrelli (alcuni ancora oggi presenti) che trasportavano a valle il legname, di cui la località era grande fornitrice.





venerdì 21 marzo 2014

castello di Montanaro (san Giorgio Piacentino)

Percorrendo la strada che da san Giorgio piacentino conduce, in mezzo ai campi centuriati, alla frazione di Montanaro, poco prima del cartello indicatore ci appare sulla destra la mole schiacciata  di questo castello, edificato a partire dal 1300.
Fu parzialmente ricostruito nel 1692 dai conti Marazzani, e in seguito fu trasformato in villa residenziale, perdendo così la sua funzione difensiva e lasciando spazio a soluzioni architettoniche tipicamente di svago.
Nel 1799, il castello di Montanaro fu utilizzato come base di appoggio dalle truppe austro russe del generale Suvarov, durante la  campagna d'Italia contro Napoleone (approfondisci Suvarov). Il generale fissò la propria residenza temporanea nel castello di Lomello, dove un monumento ricorda il fatto.

Durante il fascismo fu sede della Gioventù Italiana del Littorio, mentre nel dopoguerra del brefotrofio provinciale.
La struttura, ora fatiscente, è circondata in parte dall'antico fossato e da basse costruzioni agricole, alcune diroccate, alcune ancora abitate. E' possibile arrivare fin davanti al complesso, e girarci poi attorno.
Il retro si affaccia su un prato che va poi a terminare su una strada secondaria.
Il senso di abbandono e di quiete è totale, ed anche le attività connesse all'agricoltura che vi ruotano attorno non sono invasive, anche se la stagione migliore per un sopralluogo è certamente quello autunnale ed invernale.
Recentmente  ha rischiato di essere deturpato da un progetto per la realizzazione di un impianto fotovoltaico nei terreni circostanti; per ora il TAR ha dato ragione al suo proprietario, bloccando il progetto.